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Barbie in crisi esistenziale

11.08.2023

Una Barbie esistenzialista alla ricerca di sé stessi. L'analisi del film Barbie, fatta dal consulente filosofico Davide Gravellini.

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Può capitare d’estate, alla ricerca di un po’ di frescura, di riparare in qualche cinema di provincia. La sala quasi deserta, con qualche coppia di spettatori a macchia di leopardo è in attesa della proiezione sul mega schermo del film Barbie.
La proiezione inizia e si viene immersi nella musica e nel color “Pink, che si abbina con tutto”, nel fantastico mondo - di plastica - di Barbieland (specchio della società consumistica e omologata) dove tutto si ripete ogni giorno alla stessa maniera, fantastica e patinata, fino a quando irrompono, per uno strano sortilegio, nella mente della Barbie stereotipo quei “pensieri di morte”. Di colpo a Barbie compaiono i piedi piatti e la cellulite.
Ed è a questo punto che il film apre uno squarcio e ci, e mi, coinvolge intimamente. Quando, per dirla alla Heidegger, la morte non è più una cosa remota e lontana, ma qualche cosa che mi riguarda personalmente da molto vicino. Si passa dal “Si muore”, anonimo che riguarda gli Altri quel “Si che non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte”, all’io muoio. Sul volto di Barbie compaiono lacrime, sconforto e angoscia. 
Ma, anche per la regista Greta Gerwing in accordo con l’esistenzialista tedesco, i pensieri di morte di Barbie sono la possibilità di vivere più autenticamente la propria esistenza (Essere per la morte) ponendo primariamente la domanda per eccellenza: Qual è il senso della vita?
Prima che Barbie esistenzialista, e tutti noi, si trovi la risposta alla domanda per eccellenza (Il senso della vita) si deve trovare il coraggio di affrontare in prima istanza noi stessi “svelare l’essere” per poi “pro-gettarsi” nelle mille peripezie che tale consapevolezza porta con sé. Barbie, per ripristinare l’incoraggiante routine di sempre ed essere “un cosa tra le cose”, viaggerà tra un mondo reale (patriarcale) e Barbieland, società matriarcale, che aveva escluso l’altro impersonato da Ken.
Già perché, se Barbie è alla ricerca di sé stessa, Ken non è messo meglio.
“Ken esiste solo se Barbie gli rivolge uno sguardo” viene evidenziato nel film. Questo provoca una profonda lacerazione in Ken, che parte proprio da sé smarrito, vuoto, orfano dello sguardo altrui. Si evidenzia quindi l’importanza del proprio riconoscimento attraverso il riconoscimento dell’altro ma, come ricorda Lèvinas, per riconoscere l’altro si deve prima abbandonare la torre d’avorio l’io egoico e comprendere l’estraneità dell’altro,  per non diventare delle Barbie o dei Ken della società omologante. Nel film infatti Ken non è visto da Barbie perché e lui stesso a non vedere “l’epifania del volto” - per usare parole di Lèvinas - di Barbie, è allora Ken è l’appendice senza identità di Barbie che, avendo acquisito consapevolezza, invita  Ken ad affrontare la crisi esistenziale partendo da sé stesso.
Si ride così un sorriso amaro, ma sincero, misto a gioie di rinascita e di cambiamento. Barbie stereotipo dell’inizio “gettata” nello sconforto e nel mondo reale (dai pensieri di morte) prende consapevolezza grazie alla sua crisi esistenziale e diventa “autentica”, una Barbie pensante, per aiutarci a comprendere meglio noi e il mondo che ci circonda.

Davide Gravellini
www.davidegravellini.it
 

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